Diano Castello

Un tuffo nella storia… ad un passo dal mare

DIANO CASTELLO DAL 2020 FA PARTE DEI BORGHI PIU’ BELLI D’ITALIA

Diano Castello

Il castello delle valli dianesi. Il castello non c’è più, ma la città, ancora in gran parte protetta da mura e porte, sì. Vigila su gran parte della costa dianese, come una sentinella. Impossibile non vederla, con la chiesa parrocchiale di San Nicolò che si staglia sul cielo e sopra un tappeto di tetti e pietre lavorate: palazzi signorili, case storiche, basi di torri e monumentali edifici sacri.
Il Castello di Diano si racconta e si vive strada per strada e si dice “città” perché è stato ed è una capitale dell’entroterra ligure. Domina la pietra che forma mura, porte di accesso, case tardomedievali splendidamente conservate e chiese ricche di opere d’arte, talune davvero uniche, come il tetto in legno dipinto in San Giovanni Battista. E la pietra dialoga con gli intonaci colorati del potente sviluppo architettonico del Seicento e Settecento. Tutto questo è frutto di un’attenta cura per le risorse della terra: vite ed olive, soprattutto. Un mondo mediterraneo che cela il piccolo grande segreto delle “lone”, le cavità naturali nel terreno sui cui si erge l’abitato. Il che vuol dire cisterne d’acqua. Fondamentali, in una terra difficile come è la Liguria. Scoprite tutto questo, vale il viaggio.

LA STORIA

Più di duemila anni fa la collina ove ora sorge il Castello di Diano era sollevata rispetto ad un vasto bosco. La posizione difendibile era forse già abitata dai liguri, attirati dalla gestione del bosco e delle particolari acque che vi sgorgavano all’interno. La divinità del posto era Borman, legato alle sorgenti. Per questo i romani avrebbe chiamato questo posto “Lucus Bormani”, il bosco di Borman.

Eccoli, i romani. Questa collina è sempre più importante, la strada lungo la costa attira traffici ed attività. Si coltiva sempre di più e proprio la vite, sicuramente. Si pesca e si lavora il pesce, si attua quello che ancora oggi distingue i luoghi: il dialogo tra mare e terra. Borman è Apollo per i romani. Diana è la compagna di Apollo. Nasce il Pagus di Diana. Il territorio di Diana. Il Dianese. Una memoria che non si perderà più. Con il crollo dell’Impero Romano la popolazione si disperde nei villaggi dell’entroterra, fidando nella protezione delle prime chiese cristiane. Il Castello di Diano viene citato per la prima volta in documento del 1033. Infatti, dopo il Mille e la fine del pericolo saraceno, la posizione dominante di questa collina che domina un largo tratto di costa non sfugge all’interesse dei signori feudali. Viene così fortificata. C’era un castello, il cui spazio è ancora individuabile. I feudatari locali sono i Clavesana: marchesi di origine piemontese. Per questo nel 1223 si trasferisce il diritto di battesimo nella chiesa del Castello, San Nicolò, togliendola a quella di San Pietro, costruita in un fondovalle. Eppure, la Comunità locale ottiene sempre più potere, tanto da ottenere libertà formali nel 1172. I Clavesana, dediti ad avventure guerresche, hanno bisogno di denaro e nel 1228 vendono tutti i titoli signorili di Castello al Comune di Genova. Castello cresce nell’orbita genovese: sono agricoltori, commercianti, marinai, tutti abili nel mestiere delle armi, tanto che alla battaglia della Meloria, nel 1284, quando Genova sconfigge Pisa, c’è anche una barca armata dai dianesi, con tanto di assalitori: una specie di marines del Medioevo. Vittoria sempre ricordata, da queste parti. Del resto, gli abitati dianesi vantano un importante orgoglio civico, testimoniato dall’autonomia legislativa ottenuta con gli statuti del 1363, restando sempre all’interno del territorio genovese. Era nata così la Communitas Diani, la Comunità di Diano, la quale, con alterne vicende, seppe difendersi anche dal pericolo dei pirati o corsari barbareschi (nordafricani): una cupa vicenda durata a lungo, 500 anni fa.

La cerchia di mura racchiude ancora oggi gran parte dell’abitato antico. La cosa migliore da fare è conoscerlo metro per metro. Spiccano murature medioevali, resti della cerchia difensiva, porte di accesso, case-torri abbassate nel tempo, ma che dovevano essere svettanti, seicento o cinquecento anni fa. E poi il borgo, a monte, fuori le mura, oltre l’area detta dei macelli, un isolato che è tutto tardomedievale. Portali in pietra scolpita e ingressi monumentali. Sotto la chiesa, la loggia pubblica, con lapidi medievali. Da qui si può rivolgere lo sguardo alla strada carrozzabile antica, sulla quale si affacciano i palazzi barocchi. Uno, il palazzo Quaglia, è sede comunale: un dipinto murale che ricorda la battaglia della Meloria è simbolo dell’orgoglio locale. I soli spazi ampi all’interno del sistema di mura sono dovuti alle demolizioni seguite al terremoto del 1887. Un evento che ha segnato la valle di Diano, a suo tempo. Tanta ricchezza si riflette nei molti edifici religiosi, in cui si riconosce la Comunità. E tanta ricchezza proviene dalla varietà agricola, in cui la vite si affianca all’olivo, sempre più presente negli ultimi seicento anni. Dalle capacità artigianali e commerciali. Dall’avventura del commercio marittimo.

DA NON PERDERE: LA RELIGIOSITÀ VISSUTA

Castello è luogo di molti edifici religiosi. Ed è appassionante scoprirli uno ad uno, per capire i punti di riferimento degli antenati… e anche della popolazione di oggi. La chiesa parrocchiale è dedicata a San Nicolò (Nicola). Per i liguri è un patrono dei naviganti. Non è un caso, qui. L’aspetto monumentale è imponente. E però la storia inizia come piccola chiesa del castello, che in gran parte sorgeva nello spazio sottostante, ad Ovest. La chiesa è oggi un gioiello barocco, progettato 350 anni fa da un architetto ligure occidentale, Giovanni Battista Marvaldi. L’interno è grandioso, avvolgente, con molte cappelle laterali. Spiccano marmi, dipinti, statue lignee, quasi tutto di realizzazione genovese, dal Seicento all’Ottocento. Due curiosità: all’esterno il campanile sembra non finito. In realtà la parte alta è stata danneggiata dal terremoto del 1887. E quindi, meglio non rischiare. All’interno, la quarta cappella a destra è dedicata a Santa Rosalia: memoria della protezione dalla peste e di una originale devozione comune tra Liguria e Sicilia, dove ha origine e dove è tuttora fortissima a Palermo.

Andando oltre, si incontra la chiesa dell’Assunta: un capolavoro medievale, con la sua abside che offre un’immagine di oltre 800 anni fa. Edificio spettacolare, integro, un vero museo religioso, oggi arricchito di opere d’arte di varia provenienza dianese, dal tardo Medioevo al Seicento e da una serie di storie dipinte murali, ancora tardomedievali, in si raccontano le storie di Maria e di Gesù, non del tutto basate sui Vangeli. E chi le vedeva, quanto furono dipinte da maestri rimasti ancora anonimi, imparava, guardando le figure. Spicca anche la monumentale figura di San Cristoforo: frutto di racconti leggendari, questo santo era di buon augurio per tutti. Proteggeva i facchini e i viandanti ed era una garanzia: se lo vedevi, quel giorno non morivi, secondo il pensiero popolare medievale.

Poi c’è l’oratorio di San Bernardino da Siena, che, a inizio Quattrocento, in Liguria hanno visto predicare. Uno spazio veramente grande, che ci fa capire quanto fosse importante la confraternita locale, dedita ad alla carità ed all’unione fra le persone in tempi difficili, oltre alle particolari celebrazioni della Settimana Santa. E anche qui dipinti murali tardomedievali, questa volta di Matteo e Tommaso Biazaci da Busca. Che è in Piemonte, ma i legami culturali interregionali sono forti.

Un vero gioiello è poi la chiesa di San Giovanni Battista: cantiere in perenne trasformazione, incredibilmente a strapiombo sulla collina, con la navata unica rimasta decorata ancora da un’Annunciazione del 1454. E all’epoca risale l’eccezionale soffitto in legno dipinto. Certo, rimaneggiato e, per fortuna restaurato qualche anno fa, dispiega, pannello per pannello, Cristo e gli Apostoli, i santi più considerati, il ciclo dei mesi (e dunque i lavori agricoli e pastorali), scene di duello e figure di dame, ma soprattutto quello che si vedeva tutti i giorni a Castello e dintorni: agricoltori, pescatori, lavoratori navali e, ovviamente, l’oste con brocca e bicchieri. Forse il premio Vermentino era già nato allora.

DENTRO DIANO CASTELLO, LE LONE…

Non vedrete mai un camion pesante passare nell’unica strada carrozzabile di Diano Castello. Non potrà che passare lungo la via di circonvallazione. Non potrete trovare una sorgente naturale sulla collina di Castello. Due circostanze collegate: da un lato, come poteva prosperare così un abitato senz’acqua? E perché niente camion? Esiste Diano Castello sotterraneo. Anzi, Diano Castello sorge su di una formazione geologica, detta “marna”: di fatto, anche per l’azione umana, il sottosuolo di Castello è come un formaggio svizzero: pieno di buchi. Sono in realtà cavità inizialmente naturali e poi adattate nel tempo, cona allargamenti e rivestimenti. Sono pozzi ad antro, presenti sotto gli edifici. Sono le cosiddette “lone”, in cui si convogliano in vario modo le acque piovane. Queste venivano un tempo utilizzate per gli usi più diversi, dall’irrigazione di orti e giardini nei pressi delle case alla stessa alimentazione umana. La catalogazione completa delle lone è stata effettuata dal Gruppo Speleologico Imperiese del Club Alpino Italiano. Con tanto di immersioni: dentro le più grandi ci si può anche nuotare. Il termine stesso di “lona” è un termine dialettale arcaico, che significa appunto “avvallamento naturale. Sono state esplorate diverse lone, ivi comprendendo quelle sotto i grandi palazzi signorili che accolgono il visitatore in via Meloria. Si parla di spazi grandi mediamente 100 mq, tra cui quelle della “piazza del Comune” o “sotto la piazza della Chiesa” o la “Sud Castello” ovvero quella di piazza Ranixe, cinquanta metri sulla sinistra della loggia sotto la parrocchiale. Una rete di canali collega le lone: opera eccezionale dell’Uomo per adattarsi al bisogno d’acqua. Un mondo ancora accessibile e affascinante.

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